TACCHI ROSSI CONTRO LA VIOLENZA
-Lisia Petrini
Ventitré anni fa veniva istituita, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza Contro le Donne, un modo per sollecitare attenzione nei singoli individui tanto quanto nelle istituzioni, poiché la violenza di genere è frutto di una più ampia e storica disparità di potere che si traduce in varie forme di violenza, siano esse psicologiche e/o fisiche.
La Giornata è stata fin da subito inserita nel più ampio quadro della Giornata dei Diritti Umani, che viene celebrata il 10 dicembre, al termine dei 16 giorni di campagna globale contro la violenza di genere.
Ma perché si è scelto il 25 novembre? Le ragioni storiche si celano dietro l’omicidio di tre attiviste dominicane, le sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, che si sono sempre battute per la libertà del proprio popolo lottando contro la dittatura di Trujillo. Queste donne colte e ribelli costituivano una minaccia per il dittatore sudamericano e furono uccise il 25 novembre 1960 a bastonate.
La loro violenta morte suscitò una valanga di sollevazioni popolari, che dapprima portarono alla caduta del regime trujillista, e poi ad assemblee internazionali femministe, come quella di Bogotá, in Colombia, nel 1981, Nazione che ha proposto per prima questo giorno.
Durante questa giornata, in molte piazze italiane, è possibile vedere decine, se non centinaia, di scarpe rosse, diventate nel tempo simbolo della lotta e della resistenza femminile alla violenza di genere.
Il primo emblematico paio di tacchi rossi, apparve il 22 agosto del 2009, nella piazza della cittadina messicana di Ciudad Juárez, grazie all’architetto e attivista Elina Chauvet, per commemorare la morte della sorella avvenuta per mano del marito. Da allora le Zapatos Rojos spuntano nelle piazze di molti Paesi a ricordo delle vittime e a denuncia delle numerose violenze che migliaia di donne in tutto il mondo subiscono e, troppo spesso, non denunciano.
Di fatti la violenza di genere è parte delle società patriarcali in cui viviamo, siano esse più o meno progressiste e moderne: in Italia, ad esempio, una donna su tre subisce un qualche tipo di violenza, in particolare, secondo la ricerca Istat del 2014, il 20,2% delle donne in Italia è stata vittima di violenza fisica, il 21% ha subito violenza sessuale, il 21,5% è stata vittima di stalking, il 26,4% ha subito violenza psicologica.
Numeri che durante il periodo di quarantena è aumentato in modo esponenziale, sempre da fonte Istat, sappiamo che le chiamate al 1522 (numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking) sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, con un picco tra fine marzo e inizio maggio.
Nella stragrande maggioranza, tutti questi crimini vengono commessi da partner o ex partner, uomini che non vedono persone di fronte a loro, ma oggetti, da reclamare e possedere.
Il dato più sconcertante poi, riguarda le denunce, infatti si stima che il 12,2% delle violenze commesse da un partner non vengano denunciate e se denunciati solo al 2,3% dei casi ha fatto seguito imputazioni.
Emerge quindi, che nelle case di centinaia e centinaia di italiani si consumano ogni giorno svariate forme di violenza, in silenzio, a porte chiuse. Violenze che arrivano a sfociare in omicidi, solo quest’anno (che non è ancora giunto al termine) si sono verificati 125 femminicidi, ovvero l’uccisione di una donna perché tale.
Atti di violenza e notizie di femminicidi all’ordine del giorno, che attraversano coscienze ormai desensibilizzate. Denunce di maltrattamenti che non trovano nelle istituzioni risposte appropriate e, a questo punto, una domanda sorge spontanea, quante scarpe rosse dovranno essere messe nelle piazze prima che la cultura di massa inizi a trattare le donne con il rispetto che meritano, prima che una donna non diventi un altro numero su una statistica da brividi da pubblicare il 25 novembre?


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