La Giornata internazionale per l’eliminazione della Violenza sulle Donne, celebrata ogni 25 novembre, è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 17 dicembre 1999. In tale data, l’Assemblea ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della nonviolenza e del rispetto delle donne.

Con l’espressione “violenza di genere”, si vuole evidenziare l’insieme di tutte quelle forme di violenza che vanno da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dal cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate sulla base del proprio genere.

Ad oggi, questo fenomeno è ancora molto diffuso e radicato, i dati parlano chiaro e sono allarmanti: nel 2023, sono stati denunciati oltre 4.500 casi di violenza sessuale in Italia, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. A crescere è anche la diffusione non consensuale di contenuti intimi, con un aumento del 7%, e le molestie sessuali, sia fisiche che in rete, hanno coinvolto una donna su tre.

Come sottolinea Giulia Minoli, Presidente della Fondazione “Una Nessuna Centomila”, questi numeri sono solo una minima parte conosciuta di questo fenomeno che, in realtà, è molto più vasto e complesso: «Tante donne, per paura o per timore di essere giudicate, non trovano il coraggio di denunciare», afferma la presidente, ricordando che la lotta contro la violenza di genere è una battaglia culturale che deve coinvolgere ogni singola persona.

Questa giornata non riguarda solo la riflessione, ma vuole incoraggiare anche e soprattutto l'azione e l'impegno, che siano volti a generare creare cambiamenti concreti, come: offrire strumenti per implementare politiche contro la violenza di genere nei luoghi di lavoro, coinvolgere le scuole nella sensibilizzazione deə giovani con percorsi di educazione sessuo-affettiva e raccogliere fondi per centri antiviolenza. Sono proprio questi ultimi che nel 2023 hanno supportato oltre 26.000 donne, rappresentando un punto di riferimento fondamentale per chi decide di sottrarsi a situazioni di abuso, garantendo anonimato e tutela legale.

In Italia, il Codice Rosso, introdotto nel 2019, ha rappresentato un passo avanti nella legislazione a tutela delle vittime. Questa legge prevede tempi più rapidi per la denuncia e il trattamento delle segnalazioni di violenza domestica, cercando di offrire una risposta più tempestiva alle situazioni di emergenza. 

Nonostante questo, l’Italia sembra rimanere sempre un passo indietro rispetto ad altri Stati; situazione dettata da peculiarità culturali e sociali che influenzano la percezione e dunque la gestione di tale fenomeno. Spesso il dibattito italiano si lega a forti e concrete radici patriarcali che, al giorno d'oggi, non vengono ancora riconosciute come discriminatorie e problematiche. 

 

Parallelamente, a livello europeo, la Convenzione di Istanbul rappresenta il principale strumento legale per la prevenzione e la lotta contro la violenza di genere. Adottata dal Consiglio d'Europa nel 2011, è stata ratificata da numerosi paesi membri, compresa l'Italia. La Convenzione presenta la prevenzione sulla violenza di genere non come una questione personale, ma come un obbligo giuridico, imponendo agli Stati di adottare misure preventive per garantire protezione e assistenza alle vittime e perseguire penalmente i responsabili. 

Alcuni Paesi si distinguono per politiche particolarmente innovative. La Spagna, ad esempio, ha introdotto nel 2004 una legge pionieristica sulla violenza di genere, con tribunali specializzati e un sistema di monitoraggio dei casi di violenza domestica. In Francia, l'introduzione di "braccialetti antiviolenza" per uomini condannati per stalking o violenze gravi rappresenta una misura di prevenzione importante. Notevoli sono i progressi del Belgio, primo paese europeo con una legislazione completa contro il femminicidio, introdotta grazie alla legge "Stop Feminicide". Tuttavia, finora solo due paesi, Cipro e Malta, hanno deciso di riconoscere il femminicidio come un crimine autonomo.  

 

Un tema emergente è anche la sicurezza e la prevenzione nel contesto universitario e della mobilità Erasmus. Fra Gennaio e Marzo 2022, UniSAFE ha condotto un sondaggio fra 46 università e organizzazioni di ricerca situate in 15 paesi europei, con lo scopo di raccogliere dati sulla violenza di genere in ambito accademico. I risultati riportano che il 62% deə partecipanti, studentə e lavoratorə, è stato vittima di violenza di genere, in una delle sue tante forme, presso il proprio istituto. Inoltre, il sondaggio rivela come individui appartenenti a gruppi minoritari (LGBTQIA+, minoranze etniche, persone con disabilità) tendono a subire maggiormente atti di violenza. Fra lə partecipanti, soltanto il 13% ha deciso di segnalare l’accaduto, in quanto quasi la metà delle vittime era incerta sulla gravità dell’azione. Il 31% del campione, invece, non ha riconosciuto l’accaduto come atto di violenza. 

Di conseguenza, sempre più università si stanno muovendo per favorire un supporto maggiore e rafforzare le misure cautelative rivolte a tuttə lə studentə, anche quellə in mobilità. Tra queste misure troviamo programmi di sensibilizzazione pre-partenza e collaborazioni tra università europee per creare reti di supporto, con numeri di emergenza dedicati e sportelli di ascolto. 

 

In Italia come in Europa, il problema della violenza di genere persiste, il numero di femminicidi rimane ancora spaventosamente alto, ma tutto sommato è almeno un po' rincuorante constatare che alcuni paesi stiano cercando di implementare nella propria legislazione strategie e politiche sociali volte a contrastarla ed eliminarla.

Urge però sottolineare come la violenza di genere sia un fenomeno radicato in un tessuto sociale e culturale che discende da una tradizione patriarcale in cui si tramandano da secoli relazioni di potere sproporzionate tra uomini e donne e in cui vengono normalizzati, minimizzati e giustificati comportamenti violenti degli uni nei confronti delle altre. Il sistema tende a colpevolizzare la vittima, mettendo in discussione la sua dignità anziché condannare il comportamento dell’aggressore, quando, in realtà, la responsabilità è esclusivamente di chi compie l’atto violento e ogni altra interpretazione contribuisce a perpetuare il ciclo di oppressione. Sebbene la complessità del fenomeno lo renda decisamente più difficoltoso, è necessario trovare delle soluzioni che agiscano alla radice del problema, partendo specialmente dalle nuove generazioni, promuovendo valori di rispetto reciproco, uguaglianza e consapevolezza.

 

La lotta contro la violenza di genere non è una battaglia individuale: è una battaglia, che coinvolge tuttə noi, come esseri umani. 

 

’Se il problema è sistemico, la reazione deve essere collettiva’’ - Irene Facheris

 

Un articolo a cura di: Francesco Traore Angulo, Irene Ciriaci, Maria Chiara Lentinio, Michela Rapposelli e Swami Squartecchia.