Il 25 novembre è la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne.
La data non è affatto casuale, ma è stata scelta per ricordare le sorelle dominicane Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, attiviste e dissidenti politiche brutalmente uccise dai soldati del dittatore Trujillo. Proprio in Sudamerica dove nel 1981 fu celebrato, nella capitale colombiana di Bogotá, il primo incontro femminista latinoamericano e caraibico, dove fu scelta la data del 25 novembre per celebrare la Giornata Internazionale della Violenza Contro le Donne. La forza delle attiviste latinoamericane portò all’attenzione dell’ONU la violenza di genere e con la risoluzione del 1999 fu definitivamente istituita la Giornata.
La violenza di genere ha numerose sfaccettature: può essere di natura economica, psicologica o fisica. Spesso la nascita di questo tipo di violenza parte dentro casa, infatti, la violenza domestica è una delle forme più comuni, ma le vittime in questi casi non sono solo le partner. Rilevanza va data ai bambini e ragazzi che vivono in contesti di violenza a spese della propria madre
In Italia è presente dal 2018 una legislazione a tutela di donne e bambini che vivono, le prime violenza mentre i secondi l’impatto di essa e l’impotenza di poter reagire per difendere la vittima. L'intervento normativo da parte dello Stato, con la Legge n.4/2018, si è reso necessario in seguito all'aumento dei crimini di genere nel Paese. Viene così sancito l’obbligo per lo Stato di prevedere il risarcimento delle vittime e l'aumento delle azioni di protezione e supporto psicologico ai bambini testimoni di violenze. Nonostante sia presente una legislazione, manca un effettivo cambiamento nelle coscienze di una società, quale quella italiana, impregnata del patriarcato. Inoltre, gli effetti che la violenza sulle donne possono avere sui bambini sono comunque gravissimi: l’esposizione può addirittura danneggiare lo sviluppo fisico, cognitivo e comportamentale.
Ancor di più se si tratta di femminicidio, che è la forma massima di violenza di genere. Secondo il report di Save the Children, nel 2020 gli orfani di femminicidio erano 169 in totale, di cui il 39,6% minorenni (67 su 169), il 32,5% (55 su 169) è rimasto orfano anche del padre che si è tolto la vita dopo l’accaduto. Nel 2023 si stima che il numero di bambini orfani di femminicidio oscilli attorno a duemila, ma la cifra è indicativa dato che per molti anni non è stato svolto alcun monitoraggio a livello nazionale per individuare e tutelare queste “vittime invisibili”.
La domanda da porsi è allora lecita, come può un bambino, che vive quotidianamente in un contesto di supremazia patriarcale e violenza domestica a spese della madre, crescere senza emulare un simile comportamento? La risposta non può essere istantanea, o magari una risposta nemmeno c’è, ma se davvero l’educazione e il rispetto nascono da ciò che le strutture familiari e scolastiche insegnano, come potrà un bambino capire quanto possa essere grave la violenza, dal momento che viene istruito a scuola con amore e affetto, e a casa assiste a schiaffi e litigi violenti? In una cultura violenta, dove le leggi non arrivano, si può solo sperare che un bambino riconoscerà, una volta cresciuto, che tutto quello che ha vissuto non fosse un esempio da seguire, quanto più da ripudiare.
“Mio padre picchiava mia madre, lei ogni sera mi faceva dormire con lei, mi abbraccia forte ed io mi addormentavo scaldando con il mio amore i suoi lividi, ho sempre cercato di proteggerla, e così quando sono cresciuto ho denunciato mio padre, questi si è allontanato da noi, ma vivo costantemente con la paura che possa tornare da mia madre e vendicarsi. Quello che ho imparato? Lui non era un padre, né un marito, è tutto ciò che non sono e non sarò mai, amo mia madre, mi ha dato tutto, e la proteggerò sempre.” La voce di un ragazzo.
In Italia, dall'inizio dell’anno sono stati 106 i femminicidi. L’ultima notizia riportata riguarda quella della giovane Giulia Cecchettin, la cui vita e sorriso le sono stati strappati dalle coltellate dell’ex ragazzo che non aveva accettato la fine della loro relazione.
Sono passati anni dall’emanazione di leggi per tutelare le donne, ma sono ancora troppe quelle che sono state strappate dalle braccia dei propri cari per mano di chi prometteva di amarle. E coloro che sono ancora in vita, vivono nascondendo gli abusi, o tentano di denunciare senza essere ascoltate, altre riescono a fuggire e ad iniziare una nuova vita, perché sono state private di quella che avevano prima.
Oggi, 25 novembre, è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, oggi ogni donna celebra la propria resilienza. Oggi vengono ricordate tutte le donne uccise da mani che hanno preferito pugnalare piuttosto che accarezzare; quelle donne che nonostante la sofferenza patita in casa, sono state tolte persino dalla possibilità di veder crescere le meravigliose creature messe al mondo.
I centri anti-violenza, tutte le case rifugio per donne maltrattate, gli enti locali e nazionali, che si impegnano ogni giorno per aiutare tutte quelle donne che chiedono aiuto, perché non si sentano sole, e capiscano che la loro voce ha un peso, che vale più di uno schiaffo. Nel nostro Paese, dove ogni 72 ore una donna viene uccisa i minuti di silenzio non bastano più e non possiamo, non dobbiamo, lasciare i loro nomi nel dimenticatoio. È con le parole dell’attivista peruviana Cristina Torres-Cáceres che le ricordiamo:
Mammina, non piangere sulle mie ceneri.
Se domani sono io, mamma, se domani non torno, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Giulia Carnevali
Lisia Petrini
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